Con Il castello di Kenilworth si è concluso al Teatro Sociale di Bergamo il Donizetti OperaFestival 2018.
di Salvatore Margarone
Opera quanto mai rara, che è stata scritta dal compositore bergamasco intorno agli anni trenta dell’ottocento, dove si evidenziano ancora strascichi rossiniani nello stile musicale e che non appaiono così evidenti in Anna Bolena, opera scritta prima, e che supera drasticamente con le altre due, scritte a seguire, dedicate al ciclo elisabettiano, Maria Stuarda e Roberto Devereux.
Su testo di Andrea Leone Tottola, Donizetti musica così un rimaneggiamento dell’omonimo a firma di Walter Scott (Kelinworth) e Elisabetta al castello di Kelinworth di Gaetano Barbieri. Nella versione donizettiana il librettista cambia il finale, modificandolo verso un lieto fine: Amelia non muore per mano di Warney, e Leicester viene graziato dalla regina Elisabetta.
La partitura è fedele alla prima stesura, fra le diverse rimaneggiate dallo stesso Donizetti, infatti in questa occasione viene riproposta la stessa versione della prima rappresentazione napoletana del 6 luglio 1829.
Lodi, quindi, ha chi ha scelto di rimettere in cartellone un’opera quasi del tutto sconosciuta ai più, dando così l’opportunità di conoscere fino in fondo quel genio di Donizetti.
Nuove le scene, semplici e minimaliste, affidate a Angelo Sala, realizzate da un quadrato inclinato sul palcoscenico dove si svolge tutta l’opera, in divenire ora sala del castello, ora i giardini, facendo uso di strisce di tappeti con colori che rimandano alla natura, ora prigione (nell’ultima scena) in cui verrà relegata la casata dei Kenilworth per mano di Elisabetta.
Bellissimi i costumi che rimandano all’epoca elisabettiana curati da Ursula Patzak, così come le luci realizzate sapientemente da Fiammetta Baldiserri, il tutto cesellato dalla raffinata regia di Maria Pilar Pérez Aspa.
Teatro Sociale gremito fino all’inverosimile per l’evento, e sul palcoscenico, anche se scenicamente molto essenziale, si sono avvicendati gli artisti del Coro, curati da Fabio Tartari, e i protagonisti che per l’occasione sono stati scelti oculatamente, viste le difficoltà canore di cui l’opera è disseminata.
Elisabetta è stata interpretata da una superba Jessica Pratt che ha sfoggiato nell’ardua tessitura donizettiana tutta la sua tecnica vocale, impersonando una Regina dalle molteplici sfaccettature: ammiccante, regale, amorevole, arcigna e vendicativa, ma anche arrendevole alle avversità della vita. Voce svettante sugli acuti e controllatissima e corposa sul centro. Ottime, come sempre, le agilità che in quest’opera sono scritte a getto continuo.
Il ruolo della sua involontaria rivale, Amelia, è stata affidata a Carmela Remigio che ha strappato calorosi applausi al pubblico specie con la sua aria del terzo atto “Tutto temer potea”, in cui non si è risparmiata sia vocalmente che interpretativamente. Grande momento lirico, molto intenso ed emozionante che ha confermato la Remigio interprete di pregio e di grande raffinatezza.
Sul fronte maschile troviamo un ottimo Leicester interpretato dal tenore Francisco Brito, dal timbro chiaro ma in grado di scurire al momento giusto. Qualche difficoltà è emersa sulle agilità vocali, di cui questo ruolo è denso in modo particolare.
Ma è Stefan Pop, nei panni del cattivissimo e malvagio Warney, scudiero del Conte, che si impone sulla scena con la sua voce che in quest’opera risulta controllata nel minimo respiro. Molto complessa anche la sua parte vocale che interpreta con disinvoltura e grande presenza scenica.
Ottimo il Lambourne di Dario Russo, basso dal timbro profondo e brunito, che ha affiancato magnificamente lo scudiero Warney, nel portare al termine gli ordini del Conte Leicester.
Bene anche il mezzosoprano Federica Vitali, che ha vestito i panni di Fanny, dama di Amelia, completando così il cast.
Controllatissima la direzione orchestrale di Riccardo Frizza che dal podio ha assecondato gli artisti sul palcoscenico e cesellato musicalmente i comparti orchestrali della partitura, non tralasciando mai con lo sguardo né gli orchestrali né tantomeno dei cantanti che necessitavano del “respiro” durante l’esecuzione dell’impervia composizione.
La recensione si riferisce alla rappresentazione di domenica 2 dicembre 2018.
Photo©GianfrancoRota
GAETANO DONIZETTI:
Il castello di Kenilworth
Melodramma in 3 atti su libretto di Leone Andrea Tottola da Leicester, ou Le château de Kenilworth di Eugène Scribe
Personaggi:
Elisabetta, regina d’Inghilterra (soprano)
Alberto Dudley, conte di Leicester (tenore)
Amelia Rosbart, sua segreta consorte (soprano)
Warney, scudiero del conte (baritono)
Lambourne (basso)
Fanny (mezzosoprano)
cavalieri, dame, domestici, guardie, soldati, popolo (coro)
Luogo: Inghilterra al Castello di Kenilworth
Epoca: Durante il regno di Elisabetta I
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 6 luglio 1829
TRAMA:
La regina ha intenzione di rendere visita al conte di Leicester, uno dei suoi favoriti, al suo castello. Egli però ha una giovane moglie Amelia Robsart, della quale è innamorato e timoroso di dispiacere alla sovrana, ordina a Lambourne, suo servitore, di nascondere Amelia per tutto il tempo della permanenza di Elisabetta. La giovine viene dunque rinchiusa in un appartamento del castello da Warney, scudiero del conte. Warney cerca di sedurla e per riuscirci le dice mentendo che ella è stata rinchiusa lì poiché il conte non la ama più. Amelia rifiuta le profferte dello scudiero, scatenando l’ira di quest’ultimo. Amelia, riuscita a fuggire, si imbatte casualmente nella regina. Piangendo, si lamenta dunque del trattamento inflittole da Leicester, pensando che egli l’abbia tradita. Furiosa, Elisabetta domanda spiegazioni al conte e al suo scudiero: Warney, mentendo, dice che Amelia è sua moglie, ma a questo punto Leicester si fa avanti e rivela di essere sposato con Amelia e la regina, in collera, lo scaccia. Warney, sempre in cerca di vendetta, cerca di avvelenare Amelia, ma il suo tentativo viene sventato dalla fedele Fanny, cameriera di questa. Finalmente, Elisabetta ordina di arrestare Warney, perdona Leicester e Amelia e approva la loro unione tra il giubilo generale.